“Da ragazzino volevo diventare assistente di sala operatoria”, racconta il fotografo Roberto Pagliani.

La vita, poi, gli ha fatto percorrere strade completamente diverse. Inaspettate. Sorprendenti.

 

Ha scelto la luce. L’immaginifico. La potenza del segno.

 

“Mentre frequentavo la scuola infermieri un amico mi parlò di un corso per tecnico di mass media con specializzazione cinema e Tv. Questa idea mi tenne sveglio due notti, poi scelsi di cambiare vita”. In direzione contraria.

“Fu allora che compresi come la fotografia fosse la madre di tutte le immagini”.

 

Scrittore della luce, il fotografo impara a conoscerla, sentirla, usarla. “La luce si svela da sola. Basta imparare a familiarizzare con lei. Tutto è fatto di luce: ne siamo avvolti. Il fotografo ha il compito di ascoltarla. Assecondarla. E usarla.

È la grammatica della fotografia, come le note per un musicista o le parole per uno scrittore. È la sfida più grande”.

Al fianco di un grande maestro, Pagliani si è avvicinato dapprima al severo e complesso mondo della fotografia industriale: “acciai, acetati, vetri… una volta che impari a gestire quelle luci e quei riverberi, tutto il resto diventa un gioco da ragazzi”.

Anche la moda. “Ho seguito corsi di formazione, marketing, comunicazione non verbale… per poter interagire al meglio con la troupe e con le modelle. La fotografia di moda è quanto di più vicino al cinema esista. Ogni immagine - spiega Roberto Pagliani - deve trasmettere il giusto messaggio. Raccontare una storia. E per farlo occorrono preparazione ed esperienza”. Non vi è spazio per l’improvvisazione: “non ricordo quante notti ho trascorso in camera oscura, con le mani nell’acido, attendendo che le immagini iniziassero ad affiorare. Vederle fiorire sulla pellicola era ogni volta un miracolo. Intimo. E’ una dolce nostalgia quella che mi pervade guardandomi indietro… mi manca quella ritualità tuttavia sono un uomo del mio tempo e i risultati odierni sono di gran lunga migliori e più efficaci”.

 

L’era del digitale ha forse offuscato il fascino e la poesia dello scatto?

“Quel che si fa oggi col computer è più veloce, comodo e preciso. Non è lo strumento a fare la differenza bensì il messaggio che si vuole veicolare”.

La potenza di un’immagine è nel concept.

Demonizzare la tecnologia è controproducente: occorre conoscerla, piegarla e sfruttarne appieno il potenziale”.

Da sempre l’uomo pensa e riflette su se stesso attraverso l’immagine. L’immagine è prima di tutto simbolo. E, in quanto tale, potente. Immediata. E’ una forma di comunicazione che non puoi fermare”. Arriva dritta al cervello. E al cuore. Come l’arte. In ogni sua forma ed espressione. “Ho scoperto di essere un artista a trent’anni suonati. È una consapevolezza che ho maturato nel tempo, con lentezza e umiltà, grazie all’incontro - e al confronto - con tante persone speciali”. Sono state loro a dare il giusto nome alle cose.

 

Ricerca e sperimentazione “da sempre contraddistinguono il mio lavoro. Amo osare. Andare oltre. Oltre la tecnica. Oltre la mera estetica. Io desidero raccontare storie. Emozioni. Amo descrivere l’essere umano. Il suo più profondo sentire. La complessità che lo contraddistingue. E lo faccio con la luce e la sua assenza. Questo per me è ciò che distingue un’opera d’arte da un prodotto artigianale ben confezionato: rendere conto unicamente a se stessi”.

 

Il corpo, nella sua essenzialità, è ciò che Roberto Pagliani predilige immortalare. Nudo. “Da quindici anni fotografo nudi di donna. Da tempo ho abbandonato la ricerca della perfezione tecnica, quel che mi interessa è far trasparire un racconto. In teatro, c’è un momento magico, che si ripete, sera dopo sera: quando le luci si spengono e il buio e il silenzio ti avvolgono. Un tempo sospeso, in cui tutto può accadere, pochi istanti prima che il sipario si apra e la scena si animi di voci e corpi. Io assaporo quel momento ogni volta che immagino una fotografia: chiudo gli occhi e compongo lo scatto nella mia mente. Dettaglio dopo dettaglio, il pensiero prende vita. Respira. Altre volte incontri qualcuno che ti regala un’emozione e da lì parti per costruire qualcosa. Il processo creativo è il medesimo”.

E poco importa che l’immagine sia ruvida. Sporca. Imperfetta. “Il messaggio è più forte della forma. Non rincorro più, ossessivamente, la perfezione formale: è la potenza con la quale comunico un’emozione che mi intriga e mi appassiona. Un’immagine leggermente mossa, fuori fuoco, con una luce non impeccabile… può essere straordinariamente efficace”. I nudi di Roberto sono ipnotici. Complessi. Le sue donne si spogliano. Profondamente. Senza remore né imbarazzo. Ci fanno guadare, dritto negli occhi, le tante anime che compongono la femminilità. Oscure, contorte, delicate, sensuali, lievi… le donne di questo poliedrico artista parlano. E non vi è nulla di più affascinante dello svelamento. Della scoperta dell’umano sentire. Dell’essenza di ciò che si cela dentro a ciascuno di noi. Perché la loro storia è anche la nostra. Una storia tratteggiata perlopiù in bianco e nero, poiché “in quelle infinite sfumature di grigio vi è un mondo intero, tutta la poesia dell’immagine”.

Comunicazione, visione, valorizzazione della bellezza… sono parole ricorrenti nel lavoro di Roberto Pagliani.

 

Gli esercizi di stile non fanno per me. Il mio obiettivo è comunicare, con chiarezza, il brand di un committente o uno stato d’animo. Oggi siamo circondati da immagini che vengono consumate a grande velocità: per essere efficaci, per catturare l’attenzione di chi osserva occorre renderle di facile lettura. Digeribili. Saper comunicare in modo immediato è la sfida che amo raccogliere in ogni lavoro che intraprendo”. Poi ci sono l’arte e la ricerca. Quelle hanno tempi diversi. Devono essere assaporate con squisita lentezza. Per amare l’arte contemporanea occorre esplorarla. Imparare a darle del tu. Solo attraverso la vicinanza e la conoscenza la si può comprendere. Decifrare. “Le mie foto potrebbero, a uno sguardo distratto, apparire simili a quelle di tanti altri”. Non è così. Per addentrarsi nell’immaginario tratteggiato da questo visionario poeta dell’immagine, e amarlo, occorre concedersi del tempo. Per ascoltare le parole sussurrate da ogni scatto. Per farsi catturare da un guizzo di luce. Un dettaglio. A caccia di un segno. Il segno dell’artista.

 

Jessica Bianchi